L’incontro odierno, riveste una grande importanza per i suoi partecipanti e ancor più perché vuole avviare una riflessione/ricerca sugli effetti economico-sociali del libero scambio fra Europa e Stati Uniti d'America
1. L’incontro odierno, cui purtroppo non posso presenziare per motivi di salute, riveste una grande importanza per i suoi partecipanti e ancor più perché vuole avviare una riflessione/ricerca sugli effetti economico-sociali del libero scambio fra Europa e Stati Uniti d’America.
E’importante che l’accordo TTIP non si occupi solo degli strumenti necessari per facilitare gli scambi commerciali fra i due continenti ma congiunga gli aspetti economici del commercio con quelli sociali. Allargare in tal senso l’agenda dell’accordo riflette la realtà dei rapporti fra paesi nel contesto della competizione globale, che è più complessa e più ricca della sola liberalizzazione del commercio. Sono convinto, come credo tutti i partecipanti all’incontro, che considerare anche i contenuti sociali dei rapporti transatlantici, per arricchirli e migliorarli, non solo sia utile per permettere a tutte le persone che lavorano nei due continenti di godere di condizioni di lavoro dignitoso (decent) ma serva anche a promuovere uno sviluppo economico sostenibile, equilibrato e durevole.
I temi da affrontare sono molteplici come indicano le linee di ricerca qui prospettate, e riguardano anzitutto le politiche e i settori produttivi coinvolti nel TTIP.
La collaborazione e gli scambi di esperienze e di investimenti fra i due continenti possono dare un grande contributo al superamento delle difficoltà economiche e occupazionali indotte dalla crisi globale, e quindi alla ripresa della crescita.
Qui si propongono per i partner transatlantici scelte importanti relative alla messa in opera di politiche di crescita che non siano jobless, come si teme da molti, ma che contribuiscano a rilanciare l’occupazione nei due continenti, soprattutto per i gruppi più esposti agli effetti negativi della crisi, a cominciare dai giovani.
La presentazione della nostra ricerca sottolinea opportunamente l’importanza di alcuni strumenti per la promozione dell’occupabilità transatlantica, in primis gli investimenti pubblici e privati nel capitale umano nelle varie forme: dalla educazione di base a quella professionale continua, a quella finalizzata alla ricollocazione. Va sottolineata l’ urgenza di rafforzare in particolare, oltre alla educazione di base, gli strumenti di alternanza scuola /lavoro che si sono rivelati decisivi, specie in alcuni paesi europei, per favorire l’accesso dei giovani al lavoro.
Un’area di ricerca relativamente nuova riguarda la promozione della mobilità geografica dei lavoratori, che nel mondo globale costituisce una strada maestra per l’arricchimento delle opportunità di impiego e insieme uno strumento di miglioramento e ottimizzazione del funzionamento del mercato del lavoro. Le iniziative avviate in Europa, anche con il sostegno della Commissione Europea, potrebbero giovarsi delle esperienze proprie degli Stati Uniti.
Al riguardo vanno analizzate le forme giuridiche e organizzative per favorire tale mobilità, approfondendo le aree indicate nella traccia di ricerca: come facilitare i distacchi dei lavoratori fra imprese operanti nei due continenti sulla base dei principi della direttiva europea in proposito; come rimuovere gli ostacoli derivanti dalla non connessione fra i sistemi di sicurezza sociale, prevedendo in particolare forme di totalizzazione dei contributi; quali regimi speciali di cittadinanza istituire ai fini dell’ingresso nei paesi transatlantici; come attuare scambi di informazioni sistematiche e di banche dati comuni, (una sorta di Eures transatlantico).
Le aree della regolazione dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali richiederanno un’attenzione particolare, per la loro “sensibilità” sociale e per la necessità di evitare approcci ideologici e unilaterali.
2. La complessità e il livello di sviluppo degli ordinamenti del lavoro dei due continenti richiedono un approccio diverso e più articolato di quello che ha ispirato la elaborazione delle clausole sociali in molti degli accordi commerciali fra paesi a diverso grado di sviluppo.
L’impegno a evitare forme di concorrenza al ribasso e di social dumping deve essere condiviso anche fra i due partner transatlantici. Ma esso ha implicazioni che vanno oltre il rispetto dei quattro “core labor standards” dell’ILO. L’impostazione sociale del TTIP deve perseguire obiettivi più ambiziosi, orientati alla diffusione in tutti i paesi interessati degli orientamenti insiti nel concetto di decent work e sanciti anche dalla carta costituzionale europea: “fondamental principles and right at work, International labor standards, employment and income opportunities; protection and social security; social dialogue and tripartism”.
L’approccio non può essere rigidamente prescrittivo in vista di una armonizzazione degli standard, nè tantomeno sanzionatorio per la violazione degli standard predefiniti.
Deve avere carattere promozionale rispetto a obiettivi concordemente individuati, con la definizione di tempi e di percorsi per l’avvicinamento agli obiettivi che possono essere diversi per i vari paesi.
Si tratta di un metodo già sperimentato in ambiti sociali che mal si prestano a armonizzazioni forzate. Alcuni esempi europei, da considerare e adattare al diverso contesto dei rapporti transatlantici, sono le varie forme di coordinamento aperto, e di scambio di buone pratiche atte a promuovere processi di mutual learning, sulla base di guidelines condivise, adattate alle variabili condizioni dei contesti. Tali processi devono vedere il coinvolgimento di tutti gli attori sociali e istituzionali rilevanti e possono essere sostenuti dai paesi membri della partnership, con iniziative sistematiche di informazione e di formazione degli stessi attori pubblici e privati.
La attivazione di questi processi non può che essere graduale, sulla base di una ricognizione comparata dello stato della regolazione e delle politiche del lavoro nei vari paesi. Tale ricognizione permetterà di individuare le aree dove le buone pratiche sono già diffuse e possono più facilmente scambiarsi e quelle dove invece sono presenti distonie e pratiche più lontane dagli obiettivi di decent work.
Una simile analisi comparata può essere l’occasione non solo per il progresso comune ma anche per un ripensamento delle regole e delle politiche del lavoro all’interno della comunità, e anzi siano soggetti a spinte divaricanti e indotte dalla crisi. Differenze consistenti si riscontrano anche fra vari ordinamenti statali e aree degli Sati Uniti e possono essere rimesse in discussione da un confronto con le pratiche europee.
Il processo di mutual learning che dovrebbe essere promosso dall’Agenda sociale del TTIP, va istruito con attenzione e fatto procedere tenendo conto dei diversi contenuti del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, nonché dello stato di evoluzione delle regole e prassi, secondo la regola che è utile procedere sulla base degli “existing social committments”.
Mi limito a segnalare alcune grandi aree da sottoporre ad analisi e a valutazione in vista dell’obiettivo di promuovere un miglioramento delle pratiche prevalenti nei due continenti.
3. Le Relazioni Industriali sono un’area particolarmente critica che presenta marcate differenze nella regolazione e nelle prassi dei vari paesi. Tanto è vero che anche l’ordinamento europeo ha evitato di intervenire nella armonizzazione legale dei vari sistemi, lasciando largo spazio all’autonomia collettiva e ai legislatori nazionali. In questa materia l’ordinamento interno degli Stati Uniti presenta significative criticità e distanze dagli standard europei; con particolare riguardo alla protezione del diritto di sciopero, alle garanzie dell’ organizzazione sindacale all’interno delle imprese e allo svolgimento della contrattazione collettiva. Qui il confronto fra ordinamenti al fine di promuovere regole e prassi in linea con gli orientamenti del decent work non potrà che basarsi su una intensa opera di coinvolgimento e di partecipazione delle parti sociali, (sindacati dei lavoratori e organizzazioni datoriali), con la attiva presenza delle istituzioni. Si tratta di attivare sul piano internazionale quel metodo di dialogo sociale tripartito praticato in molti paesi europei e auspicato dall’ILO come strumento fondamentale per la regolazione dei rapporti individuali e collettivi di lavoro.
Le forme e le sedi di questo dialogo sociale transatlantico andranno sperimentate nel tempo; ma lo sviluppo del dialogo potrà ricevere un contributo rilevante dalla diffusione dei diritti di informazione e di consultazione dei sindacati riconosciuti in vari paesi.
Su tale base potranno moltiplicarsi anche gli esempi di accordi collettivi transnazionali, già positivamente conclusi in vari settori, anche per impulso delle aziende multinazionali.
Un sostegno a tali accordi potrebbe venire dal riconoscimento di forme rappresentative dei lavoratori nelle imprese quali i consigli di azienda, presenti sia in vari ordinamenti nazionali, in particolare dei paesi del centro-nord Europa, sia nell’ordinamento europeo, dove operano con successo gli EWC, per esplicito riconoscimento di una direttiva dell’Unione.
4. Anche nel diritto del lavoro esistono situazioni differenziate nei due continenti per un miglioramento delle regole e pratiche esistenti. Non mancano elementi comuni in aree importanti, a cominciare dalla sicurezza del lavoro, da tempo regolata in maniera dettagliata in Europa come negli USA sia per gli aspetti prescrittivi e ispettivi sia per quelli di prevenzione. Analogamente sviluppate nei vari paesi sono le regole che vietano le discriminazioni di ogni tipo e perseguono l’eguaglianza di trattamento. Qui l’obiettivo per entrambi i continenti è di aumentare l’effettività di tali regole, che restano spesso disattese anche nei punti più importanti, come ad es. la parità retributiva e di opportunità nei luoghi di lavoro. Inoltre tali regole vanno approfondite e adattate a fronte delle nuove forme di discriminazione che interessano gruppi di lavoratori e singoli, in particolare al fine di garantire “equal benefits and protection” ai lavoratori migranti, che sono sempre più numerosi e spesso indifesi.
Più diseguali sono le regole riguardanti i licenziamenti individuali e collettivi e le procedure per prevenire e gestire i processi di crisi aziendale e riduzioni del personale. Qui dovrebbero essere oggetto di confronto le soluzioni da adottare in almeno due aree problematiche: l’applicazione del principio di giusta causa per la giustificatezza dei licenziamenti, che è prevista comunemente nei paesi europei, anche se con diverse implicazioni sul piano dei rimedi. Tale principio potrebbe essere considerato dalle imprese operanti nei due continenti, come obiettivo da perseguire con strumenti diversi, non solo per legge, ma tramite procedure contrattuali, eventualmente accompagnate dalla giurisprudenza.
I casi di crisi aziendali e di esuberi, regolati in Europa da apposite direttive, potrebbero anch’essi essere considerati dalle imprese operanti nei due continenti con la previsione concordata di procedure di informazione e consultazione previa delle organizzazioni sindacali e con sistemi di accompagnamento e sostegno ai lavoratori coinvolti (tutela del reddito, outplacement, piano sociale, ecc.).
5. Gli interventi di protezione dei lavoratori nelle crisi sono particolarmente urgenti nel momento attuale ma costituiscono solo l’aspetto “passivo” delle tutele. Per questo va ribadito che l’impegno nazionale e transatlantico va rafforzato negli interventi diretti alla creazione di occupazione , con azioni di politica economica nei settori job rich, di aumento dell’occupabilità delle persone, a cominciare dai giovani; e più in generale con regole e servizi all’impiego che promuovano il miglior funzionamento del mercato del lavoro. I due aspetti di tutela e di promozione del lavoro vanno fra loro coordinati per migliorare le performance occupazionali, la qualità del lavoro e il benessere delle persone. Il concetto di flexicurity, adottato dall’Unione europea, è orientato in questa direzione, anche se ha avuto applicazioni disciplinari, non tutte soddisfacenti, nei vari paesi.
6. Infine un ‘area di confronto di crescente rilievo riguarda i principi affermati nella risoluzione del 2001 dell’ILO relativa alla sicurezza sociale nelle sue varie forme, che costituiscono un punto centrale della decent work agenda.
I sistemi nazionali di sicurezza e protezione sociale si sono sviluppati storicamente su basi diverse legate alle tradizioni dei vari paesi e all’assetto della spesa pubblica. I confronti fra i nostri paesi e le possibili modifiche devono tener conto di questi fattori e della loro “resistenza”. Non a caso la decennale esperienza dell’Unione europea conferma le difficoltà di avanzamento e anche di coordinamento nelle materie del welfare.
Le azioni di intervento in queste aree dovranno quindi essere più che mai graduali, sostenute da un impegno congiunto delle istituzioni pubbliche e delle parti sociali. Sarà utile avviarle sperimentalmente in aree specifiche, cominciando da quelle materie ove le distanze fra paesi sono minori e dove si è verificato qualche avvicinamento per fronteggiare le emergenze della crisi. Tra queste materie una urgenza particolare rivestono le tutele nei casi di inattività e di disoccupazione, da estendere progressivamente a tutti i lavoratori, compresi gli immigrati.
7. La complessità delle materie qui accennate e la difficoltà degli obiettivi da perseguire richiedono, come si diceva, un approccio non solo normativo, ma di consensus and institutional building.
Tale approccio dovrebbe essere costruito in parallelo con il procedere delle trattative per il Trattato, dedicandovi un impegno politico e sociale all’altezza del compito, non minore di quello dedicato agli aspetti commerciali e tariffari. E’ importante che i progressi via via ottenuti sui singoli temi di confronto, vengano comunicati a tutti gli attori e alle persone interessate così da costruire le basi per successivi avanzamenti, e che vengano accompagnati da meccanismi istituzionali partecipati dagli stessi attori per il monitoraggio e il controllo dell’andamento effettivo delle singole politiche.
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